L’intervento artistico di Pino Pin allestito nella Scuola di San Rocco trova giusta risonanza in questa sede, luogo che ha visto nel tempo scadere la sua funzione civile e religiosa, ma che ne ha mantenuto nello spazio e nel corredo pittorico i valori simbolici e morali. E’ un lavoro complesso di valenza etica che è giunto a maturazione negli ultimi due anni e cerca di dare forma a forti istanze della contemporaneità. Pensiero che ha cominciato in particolare a premere per una visibilità in occasione dell’avvicinarsi delle Olimpiadi del 2008 ed è scaturito dalla sofferenza per la decimazione dei monaci buddisti tibetani e le persecuzioni inflitte a loro e al Dalai Lama dal governo di Pechino. Questo tema della violenza costituisce una traccia narrativa centrale in cui si riflette non solo su questi avvenimenti, ma anche sul patire la supposta inconciliabilità di cultura tra Oriente e Occidente, tra paesi europei e arabi, che pure insistono sullo stesso bacino originario-materno del Mediterraneo, si riflette sul divario tra chi ha e chi non ha, la paura di essere deprivati di ciò che si ha, sul disagio di fronte al diverso, portatore di ciò che è sconosciuto. Diventano palpabili la paura e la diffidenza che impediscono conoscenze e saperi e che creano ostilità al cambiamento sociale e politico. Nelle cinque sezioni, intorno a cui ruota la narrazione, che si intitolano Aliti, Trittico, Inginocchiatoio, Colonna con capitello, Corazze, l’artista mette in forma situazioni diverse nella composizione spaziale e nei materiali, ma che, insieme, concorrono a costruire questa nuova agorà o spazio comune da cui nessuno è escluso, ma che invece ognuno è invitato a percorrere, a frequentare e ad essere partecipe di questo nuovo rito che si sta compiendo. Nel mondo di Pino Pin non si può entrare disattenti e veloci con la mente e i sensi impegnati in altro, ingombri di pensieri. La sua arte è un luogo dove si accede senza fretta e si è disposti, passo dopo passo, a leggere quel libro squadernato e a mettere a nudo il vissuto personale, attingendo al proprio bagaglio di esperienze soggettive ma anche agli archetipi collettivi. All’interno di questa visione del mondo c’è la società contemporanea, il nostro tempo passato si amalgama con il futuro, dove la fantasia e l’utopia diventano materiale organico. Le Corazze, collocate all’aperto, sono simulacri svuotati del corpo, ne mantengono solo i paramenti esterni che disegnano nella grandezza naturale le sembianze di un uomo in smoking nero, ordinato e ben composto fino alla cima dei capelli come un eterno James Bond e un arabo nella sua tradizionale tunica bianca, atteggiato in un atto offensivo. manichini vuoti, ma tragici esecutori e vittime di un sistema implacabile. All’interno di San Rocco, accostato su di un lato, è collocato Inginocchiatoio composto di più parti in cui il tronco di un grosso vecchio tiglio da forma ad un inginocchiatoio insanguinato, la colata di lacca rossa non lascia dubbi sul significato di questo ceppo per esecuzioni. Subito appresso, bandierine infisse su di uno steccato d’oro, portano la fotografia di una serie di nuche maschili, le vittime, e accanto su di una placchetta rotonda in ottone è incisa la scritta This space for rent , come fossero macabra merce a disposizione di tutti coloro pronti a perpetuarne il consumo. Due specchi affrontati chiudono lo steccato, ma insieme lo moltiplicano all’infinito rendendo ancora più ripetitiva, estesa e macabra la suggestione di una esecuzione capitale. Trittico, collocato di fronte sull’altro lato, riprende ancora il tema dell’esecuzione: sagome di uomini sono disegnate sulla superficie di un muro realizzato in mattoni, disposti a regola d’arte, da una sparatoria che lascia infissa nella parete veri proiettili di piombo e ottone e che si concentra con un tiro perfetto al cuore di questa carne umana. Lo spazio tra le due installazioni è legato da una serie di rettangoli bidimensionali, Aliti, appesi al soffitto in ordine regolare, che riportano su di un lato un cielo nuvoloso primaverile e sull’altro, nella superficie specchiante, la punta di un bossolo, che sotto l’azione di una forza macabra ha trapassato il cielo e tutti i cieli successivi ed è pronto a trapassare chi lo guarda. Iperreale il mezzo adottato nella resa formale, reale invece la comunicazione che comporta, lasciando lo spettatore turbato di fronte a questa aggressione se pur simbolica e alla sensazione di rendersi complici del sopruso e insieme oggetto di un’aggressione violenta. Colonna con capitello conclude il percorso. Una colonna di matrice classica sostiene un capitello di forma nuova, una nuvola nucleare in plastica trasparente bruciata, la scultura induce un sentimento estraniante per aver perso, come un avanzo archeologico, la sua funzione portante e al contempo un senso d’inquietudine nel riferimento esplicito alla catastrofe nucleare di cui in qualche modo ci si ritiene contemporaneamente vittime e colpevoli. Ed ecco che l’arte crudamente visionaria di Pino Pin costringe a confrontarsi con il lato oscuro della nostra storia, della nostra memoria e della nostra identità. Ma anche induce a pensare che “il paradiso è lontano” e che per ora si tratta di un’ aspirazione impossibile, di una visione lontana dalla realtà.